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SULMONA – “Ho vissuto questo Natale in ansia. Sapere che tuo marito positivo è chiuso 24 ore su 24 in una stanza, da solo, ti senti lacerare l’anima”. E’ lo sfogo che arriva da una donna nella rubrica “Raccontalo al Mister” per via del focolaio dietro le sbarre che è divampato nel carcere di Sulmona. Una situazione decisamente più tranquilla rispetto ai mesi scorsi anche se l’emergenza, come confermano gli addetti ai lavori, non può essere ancora considerata chiusa. La parola passa ai congiunti dei detenuti che hanno seguito tutto a distanza, tra preoccupazione e patema d’animo, senza poter interagire con i reclusi, almeno in un primo momento. “Sono stati giorni di immensa preoccupazione”- racconta la donna- “inizialmente hanno sospeso la videochiamata e si può immaginare come dovevamo sentirci noi familiari. Poi ringraziando Dio si sono organizzati per poterci dare questa occasione per vedere e sapere come stavano i nostri familiari. Io parlo di mio marito positivo. Ho vissuto questo Natale in ansia e preoccupazione. Una preoccupazione che solo chi c’è dentro può comprendere”. La donna parla di un “periodo infernale”. “Ogni giorno che chiamavo chiedevo se avesse febbre, i valori della saturazione dell’ossigeno. Mandammo un pacco postale con saturimetro ma non c’è stato consegnato. Mandammo vitamine D e non sono state consegnate perchè non consentite. Solo vitamine C, mascherine e visiere erano permesse. Noi familiari siamo stati male perchè mai potevamo immaginare che si arrivava a tanto”. Nello sfogo-denuncia la moglie del detenuto si interroga sull’origine del contagio, specificando che tutti i colloqui da giugno si sono svolti nel pieno rispetto delle misure precauzionali. “Non siamo noi gli untori”- tuona la donna- spiegando ancora che il giorno de suo ultimo colloquio risale ai mesi scorsi, prima dell’adozione del dpcm per la divisione del paese in fasce e colori. Nonostante la prenotazione gli accessi degli utenti furono sospesi per via degli ultimi protocolli anche se lei, dopo un viaggio di due ore e l’attesa nel piazzale Vittime del Dovere, riuscì a incontrare il coniuge. “Mio marito ha trascorso il giorno della vigilia e il giorno di Natale da solo come un cane chiuso in una gabbia”- conclude la donna- “il carcere già di per se è quello che, figuriamoci con una pandemia in atto. Mercoledì 27 dicembre ha negativizzato ma nonostante questo sono ancora chiusi, non possono scendere a passeggio , non possono fare socialità neanche tra di loro che si sono negativizzati . Aspettiamo che tutto questo finisca quanto prima”. Una storia che fa riflettere sul risvolto umano e sociale della pandemia che coinvolge anche il penitenziario con le famiglie dei detenuti che restano, tuttora, con il fiato sospeso.

Andrea D’Aurelio

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