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SULMONA – C’è chi può restare a casa ma non riesce e chi, letto e divano, se lo sogna. A raccontare la vita dietro le quinte dell’ospedale di Sulmona è l’infermiere professionale, Salvatore Pizzoferrato. Per lui e per quanti sono impegnati sul fronte non c’è nemmeno il tempo di respirare, distrarsi un attimo, grattarsi il prurito. La paura del contagio è dietro l’angolo ma la calma e il sangue freddo devono sempre viaggiare di pari passo. L’appello a restare a casa arriva quindi da chi si trova a stretto contatto, ogni giorno, con utenti di ogni tipo. Pizzoferrato racconta l’incontro con un “sospetto” per far capire che momenti si vivono in ospedale mentre il mondo cerca di fermarsi e di stare a casa. O quasi. Di seguito la sua testimonianza:

“Ore 14:30, appena iniziato turno presso il gabbiotto pre-triage. Squilla il telefono. Pronto servizio 118 stiamo inviando un’ambulanza con probabile caso covid19. Attimo di silenzio, nodo alla gola, ansia che sale e ripasso in un secondo tutte le nozioni impartiteci in questi giorni dalla vestizione, all’intervista da proporre al paziente in arrivo. Mi preparo. Attacco la cornetta prendo l’occorrente per vestirmi: calzari, tuta, copricapo, mascherina doppi guanti occhiali su la zip e cappuccio. Dopo alcuni minuti di attesa, inizia tutto ciò che non dovrebbe iniziare in quei momenti, gola secca, voglia di bere, naso che prude e un tremendo bisogno di andare in bagno, tutti gesti che in situazione di normalità non comporterebbero alcun problema ma in questi momenti sei costretto a sopportare. In lontananza il suono della sirena. sono loro arrivano. Davanti a me ho un signore con il volto coperto dalla mascherina. “Non mi sento bene! Ok stia tranquillo le devo fare qualche domanda e poi le misuro la febbre”. Nel frattempo il bisogno di grattarmi il naso e fortissimo, ma non posso permetterlo. Mi trovo nella fase in cui devo ponderare ogni minimo movimento anche il più banale. Finita l’intervista, procedo alla misurazione della temperatura. Caspita 39 gradi. Ormai i miei occhiali sono completamente appannati, faccio quasi difficoltà a camminare. Scendo dall’ambulanza, incrocio i dati raccolti con i colleghi e decidiamo che il sospetto è più che fondato. Decidiamo di procedere secondo protocollo, eseguiamo il tampone e gli esami del caso. Intanto sono arrivati i familiari e mi fanno domande alle quali di solito un bravo infermiere risponde tranquillamente, ma stavolta io faccio veramente difficoltà a rispondere. Nel frattempo il prurito è diventato veramente insopportabile ma io devo resistere, non posso grattarmi è rischioso. Dopo circa un’ora arrivano i risultati degli esami, praticata la terapia per cercare di abbassare la temperatura il paziente viene riportato al domicilio nell’ attesa del tampone, che arriverà dopo lunghissime 72 ore di ansia per i familiari, per il paziente e anche per me che le vivrò con il terrore di essere venuto a contatto con quello che oramai è diventato una star internazionale, questo COVID19. Adesso sono solo, ma la tensione resta alta. Devo ancora spogliarmi, cercando di evitare di contaminare meno cose possibile intorno a me, ma soprattutto me stesso. Ripasso velocemente la procedura per la svestizione e via. Finalmente libero. Ho una sensazione come se avessi dimenticato qualcosa. Provo a concentrarmi ma nulla. Dopo circa cinque minuti, mi viene in mente. Ah!! si il prurito. Vado per grattarmi ma tanto ormai mi è passato. Non è tanto lo stress fisico ma quello psicologico è alle stelle. Siamo al limite, vi prego aiutateci a porre fine al prurito insopportabile restate a casa”.

Andrea D’Aurelio

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