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foto ilfaro24 SULMONA – Una tragedia incredibile che scosse l’intera comunità e che attende giustizia da sette lunghissimi anni. Eppure, a distanza di tutto questo tempo, non si è riusciti ancora ad aprire il dibattimento nell’aula giudiziaria né tantomeno ad ascoltare un teste. Il processo per l’incidente del pulmino del Sulmona Rugby rischia la prescrizione per via di una giustizia lumaca che non rende giustizia, questa volta il gioco di parole ci sta bene, a un Tribunale che si distingue per efficacia e efficienza. Questa mattina l’imputata S.C., Dirigente Anas finita sotto processo con l’accusa di omicidio colposo plurimo, è comparsa di nuovo davanti al giudice monocratico, Francesca Pinacchio. Ma oggi come allora si è proceduto all’ennesimo rinvio. Il tragico episodio risale al 18 gennaio 2014 mentre il cambio dell’imputazione del reato al febbraio 2017. Per tre anni nessuno si è preso la briga di effettuare la notifica all’imputata, procrastinando di fatto i tempi del processo, con i termini della prescrizione alle porte. Incredibile ma vero. L’architetto aquilano è accusata di omicidio colposo plurimo per aver causato la morte di Salvatore Di Padova, detto Sasà, di 14 anni, e di Marco Liberatore, 20 anni, che era alla guida, oltre al ferimento di altri sei ragazzi tutti a bordo del Fiat Ducato che finì fuori strada al chilometro 129, lungo la ss 17, sul Piano delle Cinquemiglia. Secondo i magistrati, la donna avrebbe omesso la predisposizione di idonei sistemi di sicurezza destinati ad impedire ai veicoli, in caso di sbandamento, la fuoriuscita dalla sede stradale, con probabilità di impatto e capovolgimento. Come dire che la presenza del guardrail in concreto avrebbe potuto eliminare o attenuare le conseguenze dannose dell’avvenuta deviazione dell’automezzo dalla propria mezzeria. L’incidente del gennaio 2014 provocò sgomento e desolazione in tutto il Centro Abruzzo. Salvatore Di Padova perse la vita sul colpo, mentre Marco Liberatore morì all’ospedale San Salvatore dell’Aquila, il 7 febbraio. Una vicenda che, a distanza di tempo, fa venire ancora la pelle d’oca. A questo va aggiunta la comprensibile rabbia per una giustizia che non è riuscita a stare al passo con i tempi visto che il rischio prescrizione è ormai conclamato.

Andrea D’Aurelio

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