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“L’ aggressione da parte di un detenuto 41 bis, del carcere dell’Aquila, ai danni degli agenti di polizia penitenziaria della scorta, costretti a ricorrere alle cure ospedaliere, dovrebbe mettere fine alle continue e pressanti richieste di abolizione del 41 bis o di cosiddetto affievolimento del carcere duro”. È quanto afferma il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria (S.PP.) Aldo Di Giacomo, impegnato in un tour tra le carceri italiane per denunciare la gravità della situazione e sollecitare urgenti interventi di istituzioni e della politica. “I detenuti 41 bis continuano a rappresentare un rischio – aggiunge – non solo per gli agenti ma soprattutto per quanto riescono ancora a fare con messaggi inviati fuori dal carcere. Sono sempre più numerosi i casi di telefonini sequestrati e di indagini dalle quali si evince che boss ed affiliati ai clan impartiscono ordini comodamente dalla cella e sono in grado persino di intimidire imprenditori, famiglie delle vittime, altri criminali. Siamo ad un punto di non ritorno nell’atteggiamento di chi amministra il sistema penitenziario e che non a caso, all’atto di nomina della Ministra Cartabia, a marzo scorso, era stato contestato da associazioni di vittime di mafia, sindacati, esponenti politici. Pensavamo di aver toccato il fondo con la sentenza della Consulta che ha dichiarato “illegittimo” il visto di censura della corrispondenza tra mafiosi al 41-bis e i loro avvocati ed invece non c’è mai il peggio. Noi continuiamo a denunciarlo e ci schieriamo dalla parte dei familiari delle vittime e dei numerosi magistrati antimafia che la pensano esattamente come noi, consapevoli – dice Di Giacomo – del rischio che parta dal carcere un ordine di commettere un delitto e di impartire ordini agli uomini dei territori è sempre alto. Del resto, la comunicazione dei capi clan all’esterno, non avviene certo con mogli e fidanzate. Per tutto questo – conclude Di Giacomo – non è più sufficiente semplicemente rafforzare le misure di sicurezza negli istituti con 41 bis”

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