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I moti dell’Aquila furono una sommossa popolare avvenuta nei giorni compresi tra il 26 e il 28 febbraio del 1971 a seguito della decisione del Consiglio regionale dell’Abruzzo di prevedere due sedi, una all’Aquila e una a Pescara, per la Giunta e il Consiglio stesso e di collocare nella città adriatica anche la maggior parte degli assessorati regionali (sette su dieci), lasciando però all’Aquila il titolo di capoluogo. La sommossa iniziò probabilmente a causa di un semplice errore di lettura del Presidente del Consiglio durante la prima declamazione pubblica del nuovo Statuto regionale; i moti non portarono però ad alcun risultato e la decisione del Consiglio non fu modificata.

Ecco la cronaca di quelle giornate di scontri e proteste. 27 febbraio, h 3-4: in città si diffonde la voce sull’approvazione dell’articolo contestato, i primi manifestanti costruiscono barricate in tutte le strade di accesso per bloccare gli spostamenti verso Roma, Pescara, Teramo ed Avezzano; anche il traffico interno viene bloccato, con un grande falò di gomme usate ammucchiate ai Quattro Cantoni;

h 6: la città viene chiamata alla mobilitazione, suonano le campane delle chiese, girano auto che strombazzano per allertare tutti. Viene annunciato il secondo giorno di sciopero generale.

H 9: i manifestanti, quattromila persone, rifiutano il patrocinio del Comitato cittadino d’azione per agire cominciando un giro di devastazioni.

H 9.15: assalto alla segreteria provinciale del Psdi, volano fuori dalle finestre suppellettili e documenti.

H 9,25: assalto alla sede della Dc L’Aquila Centro e alla sede del Pli in via Marelli, devastazioni e distruzioni ovunque.

H 9,40: un migliaio di persone si riversa in Piazza Palazzo, comincia l’assedio alla sede del Pci, chiusa e difesa da militanti che vi avevano trascorso la notte;

h 9,45: il Comitato cittadino d’azione diffonde un ordine del giorno in cui si chiedono le dimissioni delle amministrazioni comunale e provinciale.

H 9.50: alcune centinaia di persone si staccano dai manifestanti di Piazza Palazzo e assaltano, devastano e bruciano la sede del Comitato Provinciale della Dc.

H 10: il sindaco De Rubeis comunica che l’amministrazione comunale si è dimessa.

H 10.10: altre persone assaltano e devastano la sede del Psi dopo avere fatto uscire i funzionari del partito.

H 10.20: assalto alla sede del Psiup, si devasta e si incendia anche qui.

H 10.40: la folla torna a piazza Palazzo, nuovo assedio alla sede del Pci in via Paganica, ancora a vuoto.

H 11: con la mediazione del questore Introna gli assediati della sede del Pci riescono a lasciare incolumi il palazzo, mentre la folla devasta, distrugge e brucia tutto all’interno.

H16: assalto all’abitazione del consigliere regionale e segretario provinciale della Dc Luciano Fabiani,  vanno in fumo duemila volumi della biblioteca personale.

H16.30-17: tentativi di aggressione alle abitazioni dei consiglieri regionali Brini (Pci) e Merli (Dc).

H 17.30: reparti della Celere intervengono a protezione dell’abitazione del sottosegretario agli Interni, Mariani, utilizzando i lacrimogeni. Avvengono i primi scontri tra la folla e la polizia al centro della città.

H18.15: ci sono i primi arresti. Arrivano feriti e intossicati all’ospedale.

H 18.45: primo assalto della folla alla Questura che viene respinto.

H 19: secondo assalto alla Questura, viene respinto.

H 19.30: assedio alla Prefettura, volano sampietrini e molotov, la polizia risponde con cariche e lacrimogeni; è guerriglia urbana che durerà per un’ora e mezza.

H 20: una bottiglia molotov finisce su una jeep della polizia in Piazza Palazzo.

H 20.15: il posto di pronto intervento dei carabinieri in Piazza Duomo viene scardinato e incendiato.

H 20.30: i manifestanti distruggono e incendiano una pompa di benzina in Piazza Duomo.

H 21: la folla si scaglia contro il negozio di Monti, un industriale pescarese, in Corso Vittorio Emanuele, distruggendo e incendiando l’esercizio commerciale.

“Si creò una cesura che, da allora, rimase tema centrale nella vita politica aquilana. Così come è ancora viva la sindrome dello scippo, giunta fino agli anni più recenti, in cui c’è stata la necessità di ribadire con una legge, ferma in Consiglio regionale, che L’Aquila sia il capoluogo d’Abruzzo”. A sottolinearlo è il deputato del Pd Stefania Pezzopane, che rievoca i giorni dei moti dell’Aquila; all’epoca aveva 10 anni. “Furono chiuse le scuole per oltre una settimana – ricorda – ma la sensazione di vacanza, per noi bambini, svanì subito perché nelle parole dei nostri genitori era palpabile la paura. Anche le feste di famiglia furono sospese. Comunioni, incontri, tutto si fermò in città. L’atmosfera era di paura. Ricordo distintamente un corteo davanti a San Bernardino. Io ero in macchina con mio fratello e alla guida c’era mio padre, il quale alla vista della folla pressante si spaventò moltissimo e ci riportò subito a casa. La memoria di quella vicenda però – sottolinea la Pezzopane – già pochi anni dopo, quando iniziai a far politica al ginnasio, era fortissima. A cominciare dalla porta della sede del Partito Comunista Italiano, in via Paganica, data alle fiamme. La stessa porta è rimasta fino al terremoto del 2009 e nonostante le riverniciature portava sempre i segni dell’incendio. Questa vicenda – aggiunge ancora – si ricordava costantemente nei racconti e negli aneddoti dei compagni di partiti, ma anche della gente comune, come un marchio di discriminazione e ingiustizia fatta al Capoluogo. Gli storici dirigenti del PCI, tra i quali Italo Grossi, Rocco Buttari, Alvaro Iovannitti, Federico Brini, raccontavano che in quei giorni, dopo l’incendio del portone del PCI, dovettero personalmente presidiare la sede per evitare altre violenze. La città si sentiva a rischio per la sua sicurezza sociale. Il trasferimento, in parte degli assessorati e del consiglio regionale a Pescara, fu avvertita come una profonda ingiustizia dal popolo aquilano. Quella è stata la prima volta in cui L’Aquila ha compreso che a causa della sua dimensione e per gli scarsi numeri politici che la rappresentavano, doveva restringere le proprie aspettative”. Secondo la Pezzopane “nel dibattito sociale e politico la cesura tra aerea costiera e interna non è mai stata ricucita. Bisogna dar merito a quei politici, tra i quali Luciano Fabbiani, che si presero la responsabilità di operare una mediazione politica, mettendoci la faccia, che fu la salvezza del capoluogo in quel momento”. “Il rischio, infatti, a causa dei pochi numeri di rappresentanza, era quello di perdere completamente il ruolo di capoluogo di Regione. Il popolo non capì subito, ci vollero anni di lavoro concreto e militanza per riconquistare la fiducia degli aquilani. Una fiducia forse riacquisita, ma accompagnata da un senso di penalizzazione, ancora oggi”. “In questi cinquant’anni – conclude – molte scelte hanno fatto passi avanti nel riequilibrio territoriale, ma così come i gamberi, in altri momenti si è tornati indietro sulla divisione. Oggi andrebbe superato quel campanilismo, che L’Aquila ha subito anche nel 2020 con la realizzazione di un ospedale Covid a Pescara. Ancora non ci si sente tutti abruzzesi”.

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