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L’AQUILA – “La morte del simbolo dell’Abruzzo Juan Carrito ha scosso molti in Abruzzo, ma soprattutto il mondo agricolo e chi vive costantemente le nostre montagne, da millenni a contatto con questi simpatici animali. Non si capiscono le cause che hanno portato l’orso a non andare in letargo, nonostante la neve alta, ma una cosa è certa: sono stati spesi milioni di euro per la tutela di questo prezioso animale da 100 anni a questa parte e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, tanto sperpero di danaro pubblico con esiti negativi per cui dovrebbe essere interessata la Corte dei Conti”.

Lo afferma Dino Rossi, coordinatore dell’associazione per la Cultura Rurale, che dopo l’investimento e la morte del famoso plantigrado, ha inviato un esposto alla Procura di Sulmona, che chiede di “verificare le responsabilità degli enti preposti alla gestione della fauna, in ordine alle perdite di tutti quegli orsi (ed altri selvatici protetti) morti a causa della descritta malagestione (e, non da ultimo, ai danni causati a persone e cose), con l’auspicio che venga fatta chiarezza in merito ad una questione che merita un doveroso vaglio”.

LA NOTA DI DINO ROSSI

Il fatto che l’orso non sia andato in letargo probabilmente è legato alla mancanza di cibo causata dal sovrannumero di cinghiali, antagonisti alimentari del plantigrado, e ciò in connessione alla mancata gestione della eccessiva proliferazione di altri selvatici all’interno del nostro più antico parco d’Abruzzo e delle altre numerosissime aree protette.

Basti pensare che i nostri parchi non collaborano affatto con gli Ambiti Territoriali di Caccia (ATC), in quanto non effettuano nel loro interno censimenti periodici degli animali, cinghiali, cervi caprioli, lupi e nemmeno vogliono che altri enti si interessino al conteggio degli animali presenti sul loro territorio: perché tanta omertà e omissioni da parte degli enti parco ed in particolare il PLANAM a danno delle attività agricole, dell’incolumità pubblica e degli animali che le aree protette sono deputate a tutelare per un benessere della specie, in questo caso si ravvisa il maltrattamento animale, art.544 cp in quanto non sono state create le condizioni ambientali per la tutela dell’orso.
Ed ancora: delle tante associazioni ambientaliste e animaliste, con fondi cassa da capogiro che partono da 1 milione di euro, nessuna ha mai efficacemente investito nel creare un habitat veramente idoneo per gli orsi in Abruzzo, specie all’interno delle già sovrabbondanti aree protette.

Sotto tale profilo, anche le Istituzioni non hanno certo brillato: si è pensato solo a come accedere ai fondi comunitari, allargando le aree Protette, con la creazione delle c.d. zone Patom, istituite seguendo pedissequamente lo spostamento degli orsi in Abruzzo, ma nessuno si è preoccupato di capire quali fossero i motivi che hanno spinto questi animali al di fuori dei 50 mila km quadrati del parco Nazionale d’Abruzzo e Molise, ove, nonostante i notevoli sacrifici richiesti agli abitanti di tali zone, la popolazione di orsi non si è mai veramente accresciuta.’, anzi sono fuggiti da queste aree pseudo protette!

È più che evidente che i finanziamenti non sono stati utilmente adibiti al mantenimento degli orsi nelle zone più specificamente vocate ad ospitarli, altrimenti non si sarebbero verificati tanti incidenti al di fuori di esse, e la cosa solleva molti dubbi!!

Oggi si corre il rischio che la morte degli orsi diventi l’ennesima scusa per spillare ulteriori fondi comunitari, per una protezione che non c’è mai stata e non ci sarà mai! Lo dimostrano, tra i tanti esempi possibili, i meleti impiantati da prima del 2008, i quali non hanno mai dato i propri frutti, essendo stati progettati solo per accedere ai fondi comunitari.

I parchi in Abruzzo sono la vergogna d’Europa per la loro gestione: le aree protette hanno superato, anzi raddoppiato, quanto consentito dalla Legge157/92 in merito all’estensione massima di tali aree, causando l’abbandono del territorio da parte degli agricoltori e allevatori, che lo avevano mantenuto, nei secoli, idoneo per la sopravvivenza di tutte le specie naturalmente presenti in natura, compreso l’uomo agricolo.

Con l’avvento della politica ambientale, proprio quell’uomo che aveva tutelato e gestito, fino ad oggi, il territorio è stato emarginato, poiché ha preso il sopravvento una visione ideologizzata ed estremista della gestione del territorio agro-silvo-pastorale, per la quale tutto è vietato, senza nulla proporsi per la sopravvivenza di quella vivificante cultura rurale, che ormai sta definitivamente scomparendo nella nostra regione.
Si può affermare, tornando al tema iniziale, che i mezzi per diminuire il rischio di incidenti causati dalla fauna selvatica non solo esistono ma sono efficacemente adottati in altri paesi comunitari, ove le cose funzionano diversamente, come, ad esempio, in Romania, dove gli automobilisti vengono avvisati del pericolo tramite sms (precauzioni che in Italia vengono disattese) e addirittura vengono creati degli appositi passaggi per la selvaggina, cosa che in Italia è solo un miraggio!

La cosa che fa più rabbia è che Juan Carrito è morto nello stesso posto della madre, ragion per cui i colpevoli sono recidivi! È vero che per i detentori di animali selvatici non è previsto dalla Legge nessuna pena, ma notiamo una disparità di trattamento nei confronti di detentori di animali domestici e i dirigenti delle oasi parchi e riserve, pagati per la salvaguardia della fauna protetta, mentre gli allevatori vengono perseguiti penalmente nonostante i costi gestionali, in alcuni casi superano i guadagni.

Quindi si prega di voler paragonare la fauna protetta a quella domestica attuando gli stessi articoli di Legge.

Sarebbe quindi opportuno verificare le responsabilità degli enti preposti alla gestione della fauna, in ordine alle perdite di tutti quegli orsi (ed altri selvatici protetti) morti a causa della descritta malagestione (e, non da ultimo, ai danni causati a persone e cose), con l’auspicio che venga fatta chiarezza in merito ad una questione che merita un doveroso vaglio.

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