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SULMONA – Passa otto ore nel pronto soccorso dell’ospedale cittadino in attesa di un’ecografia nonché di una consulenza radiologia per la problematica in atto. Alla fine una 91 enne residente in città ha chiesto le dimissioni per i “prolungati tempi di attesa”, (come viene specificato nel referto) e si è recata nel vicino nosocomio di Popoli, accompagnata dai propri congiunti, per la prestazione sanitaria richiesta. L’ennesimo episodio, che risale al pomeriggio dello scorso venerdì, riaccende i riflettori sulla carenza di organico che sta letteralmente mandando in affanno il locale presidio ospedaliero. È il caso della radiologia che da alcuni mesi si ritrova ad operare con soli quattro medici in pianta organica, insufficienti per fronteggiare la mole di lavoro . A ciò si aggiungono i tempi di diagnosi che restano differenti a seconda del medico operante, come accade d’altronde anche nel pronto soccorso, sempre più intasato anche per il venir meno della diagnosi sul territorio, il cosiddetto filtro. La nonna ultranovantenne era stata presa in carico intorno alle undici del mattino e per oltre un’ora ha atteso all’esterno, nell’area del pre triage, ancora sprovvista di una copertura esterna e di un’area di accoglienza. Dopo lo svolgimento del tampone, le è stato assegnato il codice in pronto soccorso dove è rimasta per otto lunghissime ore senza alcuna rassicurazione sulle tempistiche dell’ecografia richiesta. “Senza un bicchiere d’acqua e senza la possibilità di andare al bagno”- raccontano i congiunti. A quel punto l’anziana, non senza tensioni viste le sue legittime richieste ai sanitari operanti, ha firmato le dimissioni per farsi accompagnare a Popoli dove le è stata diagnosticata una calcinosi nel giro di un’ora. “Nonostante l’età e il dolore ha trascorso una giornata tra gli ospedali. Peraltro è stata dimessa con l’ago cannula”- concludono i parenti dell’anziana. Nei mesi scorsi una 95 enne ha atteso ben 15 ore prima di essere ricoverata in corsia. Un sistema in evidente difficoltà per diversi fattori. I ritmi di lavoro risultano intensi ed estenuanti in diversi reparti. Ed ecco che tra prestazioni programmate, consulenze ed emergenze, talvolta non si arriva ad assecondare le esigenze dell’utenza. Non appare dignitoso che un malato debba rimanere appeso ad una sala d’aspetto elemosinando cure ed assistenza sanitaria. D’altro canto il personale sanitario cerca di fare quello che può ma i problemi sono a monte. Forse è il caso che chi parla di sanità si faccia un giro tra ospedali e strutture. Perché il tempo delle “passerelle” e delle ricognizioni prima o poi deve finire.

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