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SULMONA. Si erano impossessate di denaro e merci per due anni di fila, dal 2017 al 2019, per un importo complessivo di 150 mila euro circa. Per questo due ex cassiere di un supermercato sulmonese sono state condannate alla pena di dieci mesi di reclusione più un maxi risarcimento da 138 mila euro. Si tratta di una 44enne residente a Prezza e una 49enne residente a Sulmona, finite entrambe sul banco degli imputati con l’accusa di appropriazione indebita aggravata. Secondo l’accusa, le cassiere “infedeli” avevano rubato la merce esposta in vendita e il denaro pagato in cassa dai clienti, agendo di intesa tra loro. Una delle due, sempre secondo quanto sostenuto dall’accusa, s’impossessava dei prodotti esposti sui banchi del supermercato e l’altra, addetta in quel momento alla cassa in base ai turni di servizio, fingendo di passare la merce allo scanner per segnare l’acquisto, in realtà premeva il tasto per visualizzare il prezzo, consentendo così alla collega di passare la cassa e prendere la merce senza pagare. Una “spesa fai da te” per dirla con le parole dell’avvocato del foro dell’Aquila, Isidoro Isidori, che ha rappresentato in giudizio la società che gestisce il supermercato sulmonese. Ma non è tutto. Dagli atti d’indagine, spiega il quotidiano Il Centro, è emerso pure che le due cassiere, a fronte di acquisti che venivano pagati in contanti dai clienti, annullavano gli scontrini oppure facevano risultare che i pagamenti erano stati effettuati a mezzo pos, sottraendo dalla cassa le somme pagate che andavano nelle loro tasche. Complessivamente, tra merci messe in borsa e soldi incassati, avevano racimolato 18.167 euro da febbraio a dicembre del 2017, 54.925 euro nel 2018 e 82.499 euro nel 2019. A mettere in guardia i proprietari del supermercato era stato un cliente che aveva mostrato lo scontrino annullato. Le due cassiere erano state licenziate, provvedimento che il giudice ha ritenuto legittimo. Ieri la sentenza di condanna che sarà appellata come annuncia l’avvocato difensore, Pierluigi Pezzopane, ritenendo che non siano emerse prove evidenti nè dai documenti nè dalle telecamere di videosorveglianza che sono state esaminate in aula.

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