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SULMONA – Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti. E’ questa l’accusa che viene contestata a sette reclusi del carcere di massima sicurezza di Sulmona finiti alla sbarra davanti al giudice monocratico, Concetta Buccini. Il processo è scaturito dall’attività d’indagine effettuata lo scorso anno quando, gli imputati detenuti, furono sorpresi dagli agenti di polizia penitenziaria con micro cellulari in cella. L’inchiesta, condotta dalla Procura della Repubblica di Sulmona, ha portato al rinvio a giudizio dei sette fino alla prima udienza del processo, celebrata l’altro giorno. I rispettivi legali opteranno probabilmente per i riti alternativi. L’ultimo episodio, in ordine di tempo, risale allo scorso 25 ottobre quando un detenuto fu sorpreso con tre cellulari dietro le sbarre. Nel corso della perquisizione aggredì cinque agenti, mandandoli in ospedale. L’attività d’indagine si è poi allargata e ha portato recentemente all’arresto di un poliziotto penitenziario, accusato di aver introdotto tre micro cellulari nella struttura carceraria, destinati verosimilmente ai detenuti. L’uomo si trova ancora agli arresti domiciliari dopo la scarcerazione decisa dal Tribunale del Riesame dell’Aquila. Intanto, sempre l’altro giorno, si è chiuso un “processo gemello” che riguarda un giovane detenuto del carcere che, nel mese di marzo del 2021, era stato scoperto con un telefono in cella, almeno secondo l’accusa. In realtà si trattava di un dispositivo mp3, consegnato all’indomani del sequestro, come ha ricordato l’avvocato difensore, Mauro Maiorano, sostenendo che il recluso, nella cella di isolamento dove era stato collocato per scontare un provvedimento disciplinare, si era nascosto sotto le lenzuola per ascoltare musica e stava canticchiando e non parlando al telefono come ipotizzato dall’accusa. Da qui la sentenza di assoluzione per insufficienza delle risultanze probatorie, nel senso che non è emersa la prova della sussistenza del fatto.

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