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SULMONA – “Non si può limitare il sostegno umano e morale a una donna ricoverata in gravi condizioni”. Il grido di dolore arriva da un anziano sulmonese che esprime tutto il suo malcontento contro il rigido protocollo adottato dai vertici della Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila per le visite in ospedale al tempo del Coronavirus. Per limitare e contingentare gli accessi al nosocomio l’azienda sanitaria ha diramato una circolare per tutti i reparti e per il personale del presidio ospedaliero, dando precise disposizioni sulla gestione delle visite ai congiunti ricoverati. Può entrare un solo parente, il cui nominativo deve essere rilasciato sin dall’inizio della degenza, per un arco temporale di massimo venti minuti al giorno. Una scelta fin troppo esigente quella adottata dall’azienda che non si sposa con le situazioni più delicate. Per questo la flessibilità viene demandata ai reparti e alla Direzione sanitaria che in più di un’occasione, va rimarcato per dovere di cronaca ed onestà intellettuale, sono venute incontro alle esigenze dell’utenza. Ma proteste e malcontenti si susseguono. “Ho mia moglie ricoverata nel reparto di medicina e le sue condizioni non sono affatto buone. Venti minuti mi sembrano davvero troppo pochi. Lei non può stare da sola tutto il giorno senza vedere nessuno”- sbotta l’anziano- “in venti minuti io non riesco nemmeno a fare le scale”. Uno sfogo-denuncia che rende l’idea di come le problematiche e le particolarità devono essere prese in considerazione perché, oltre alle singole cure, quello che serve ai degenti è il giusto supporto emotivo che, nel caso di specie, solo un coniuge può dare. Il rispetto delle procedure è fondamentale per evitare il contagio ma a detta degli utenti si rasenta il limite del paradosso. Massima attenzione sì ma oltre le regole esiste la realtà, talvolta sconosciuta.

Andrea D’Aurelio

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