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Un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze Fisiche e Chimiche (Dsfc) dell’Università dell’Aquila ha coordinato uno studio che chiarisce il meccanismo di una delle reazioni fondamentali per la vita sulla Terra: l’ossidazione dell’acqua indotta dalla luce, parte del processo metabolico di fotosintesi clorofilliana
nelle piante. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature. La reazione di ossidazione dell’acqua indotta dalla luce è spesso considerata il vero e proprio “motore” della fotosintesi – viene spiegato in una nota introduttiva allo studio – in quanto responsabile della conversione dell’energia luminosa nell’energia chimica che viene immagazzinata nei tessuti della pianta. Il sottoprodotto di questa reazione, l’ossigeno, è la molecola che ha permesso lo sviluppo della vita sulla Terra così come la conosciamo. La complessità di tale processo ha fatto sì che, nonostante i decenni di attenzione da parte della comunità scientifica, il meccanismo molecolare alla base di esso non fosse stato ancora chiarito a livello globale. Nello studio appena pubblicato i dati computazionali ottenuti dalle simulazioni del gruppo del professor Leonardo Guidoni del Dsfc hanno fornito la chiave di interpretazione di una grande mole di dati sperimentali, prodotti dal team del professor Holger Dau della Freie Universität di Berlino. Tale sinergia ha permesso, per la prima volta, di chiarire le basi molecolari della reazione di ossidazione dell’acqua, arrivandone a definire il meccanismo nella sua interezza. “Tra tutti gli aspetti stupefacenti di questa reazione ce n’è uno che abbiamo trovato particolarmente curioso – racconta Matteo Capone, ricercatore post-doc che si è occupato della produzione dei dati computazionali – La natura ha costruito un enzima grande e complesso, ottimizzato per portare a termine una reazione estremamente impegnativa dal punto di vista energetico. Alla fine, però, quello che permette il successo della reazione
è il posizionamento corretto dei protoni all’interno dell’enzima stesso. Oggetti di massa piccolissima, al limite del mondo subatomico, che potremmo facilmente considerare dei semplici spettatori. Ma dopotutto, come si dice, il diavolo sta nei dettagli”. La ricerca vede anche il contributo di Daniele Narzi.

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