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Un gruppo di ricercatrici di Milano-Bicocca e dell’Università degli studi di Padova ha indagato su quanto sia conosciuta dalle donne italiane la procedura della procreazione medicalmente assistita (PMA). In particolare, il progetto ha rilevato le conoscenze, gli atteggiamenti e le percezioni in relazione alla tecnica del social freezing, la crioconservazione di ovociti per ragioni non mediche, e più in generale quali sono i diversi fattori (economici, psicologici, familiari o di salute) che ostacolano le donne che vogliono diventare mamme per la prima o per la seconda volta.
La ricerca si è basata in un articolato questionario anonimo online composto da circa 40 domande, rivolto a donne dai 18 ai 54 anni. Il campione delle rispondenti è stato composto da 608 donne, delle quali la maggioranza (54%) di età compresa tra i 30 e i 39 anni. Il campione era costituito da donne con una formazione scolastica superiore (33,1 per cento con diploma superiore e il 43,3 per cento con laurea triennale/magistrale) e nella quasi totalità (98,2 per cento) di orientamento eterosessuale. Il 37,5 per cento del campione non aveva figli, il 55,3 per cento aveva già un figlio, il 7,2% era incinta.
I risultati dello studio hanno rivelato che, tra le donne intervistate che non hanno figli, il 76% ha un forte desiderio di maternità, mentre l’8,4% ha un desiderio di avere un figlio ma non particolarmente forte. Se si prendono in considerazione solo quelle che non hanno figli e ne vorrebbero uno, ma al momento non lo hanno ancora avuto, per il 28,1% è perché “ci stanno provando ma non riescono”per il 26%  ”perché non hanno risorse economiche a sufficienza” e per il 24,9% “per l’incertezza della carriera lavorativa attuale”, oltre a un 32,3% che indica “perchè non mi sento pronta in questo momento per la maternità”, più diffuso tra le giovani.
In riferimento alla procedura del social freezing, il 37,8% vorrebbe avere maggiori informazioni al riguardo. Le ricercatrici hanno quindi indagato tre principali aspetti legati al tema: la questione etica, riscontrando che il 68,7% del totale delle intervistate ritiene la pratica moralmente accettabile, mentre il 3,2 per cento è in totale disaccordo.
Più controverso il parere sulle “buone motivazioni” alla base dell’intervento delle aziende che coprono i costi della crioconservazione per le proprie dipendenti, ma su cui le partecipanti sono divise. Il 28,7% è d’accordo con l’affermazione secondo cui le aziende che coprono i costi di social freezing “per le proprie dipendenti lo fanno principalmente per sfruttare ancora di più la propria forza-lavoro femminile”, mentre il 41,7% è in disaccordo. E ancora, le risposte si dividono tra chi lo imputa alla volontà di assicurare delle buone condizioni di vita alle proprie dipendenti (43,2%) e chi, invece, non è d’accordo (30,1%).
Com’è visto, infine, l’intervento dello Stato in questo tema intimo, anche in confronto alla situazione internazionale? Oltre il 47% delle donne intervistate è favorevole alla copertura dei costi per almeno due tentativi. In termini di ricadute sociali, la ricerca indica un desiderio di maggiore informazione sul social freezing, specialmente da parte delle più giovani, e persistenti difficoltà nell’avere un figlio, di tipo non solo economico ma anche di tipo fisiologico, a volte legate all’età delle donne che non sempre sanno che la fertilità femminile ha un calo molto significativo secondo le ricerche dopo i 35 anni.
Da questo studio emerge la forte necessità di parlare dei temi della maternità e della fertilità femminile e di continuare la ricerca sulle opinioni delle donne, al fine di contribuire a strutturare anche politiche sanitarie più vicine all’universo femminile, soprattutto per le più giovani.

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