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SULMONA – Avevano terminato la quarantena di quattordici giorni, senza nessun campanello d’allarme, pronti a riprendere la routine quotidiana. Ma è stato nel primo giorno di “libertà” che uno di loro ha sviluppato dei sintomi riconducibili al Covid-19 tanto da insospettirli e riprendere la trafila dell’isolamento da capo. Un sospetto che, purtroppo, si è rivelato fondato. La strana storia vede protagonista una famiglia residente in un centro peligno che è risultata positiva al virus e attende ancora la negativizzazione. Tutto è cominciato con il contagio di un congiunto che però si è immediatamente isolato dopo il rientro in paese. Gli altri tre componenti del nucleo familiare vengono quindi posti in sorveglianza attiva. Tutti negativi al tampone svolto privatamente. Finisce la quarantena e il peggio sarebbe passato. Verrebbe da dire. Nessun sintomo e tutto liscio. E invece no. Il Covid si conferma subdolo e senza logica in taluni casi. Il quindicesimo giorno uno di loro accusa la febbre per cui, per scrupolo e a titolo precauzionale, decidono di ripetere il tampone molecolare ancora una volta in maniera autonoma, per essere sicuri e a loro spese. Esito positivo. Incredibile ma vero. Si torna in isolamento anzi in “detenzione” per dirla con le parole della più giovane componente della famiglia che ci ha scritto nella rubrica “Raccontalo al Mister” per segnalare la strana e insolita esperienza. Delle due l’una: o i sintomi si sono manifestati in ritardo o, nel breve periodo post quarantena, è avvenuto il contagio. Una vicenda comunque sui generis che non trova precedenti. “Una detenzione che sembra infinita, una luce che non si vede, il lavoro da mandare avanti. Il tutto da asintomatica. Il cervello a volte sembra dirti che non ce la può fare. Ma ce la faremo, anche questa volta”- sbotta la donna. Un calvario lungo 24 giorni in due step, più quelli che devono ancora trascorrere prima del tampone negativo. Quanto basta per lanciare un messaggio a quanti continuano a sottovalutare il rischio. Da “Tanto a me non mi becca” a “meglio un tampone domani che il contagio oggi”. L’approccio culturale deve cambiare.

Andrea D’Aurelio

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