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SULMONA – Viene prima rinviata a giudizio e poi processata per un reato che di fatto non ha commesso perché, per un caso di omonimia, è stata scambiata per un’altra persona. La vicenda che ha dell’incredibile è finita sui tavoli della giustizia. Protagonista dell’increscioso equivoco è una donna residente a Sulmona, di etnia Rom, che ha dovuto rispondere dell’accusa di falsa dichiarazione per la richiesta del gratuito patrocinio. Secondo l’accusa l’imputata avrebbe dichiarato una somma non consentita, tenendo conto del reddito dei componenti del suo nucleo familiare. L’accesso al beneficio della difesa processuale gratuita è consentito in effetti solo a coloro il cui reddito non supera la soglia di reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, di € 11.528,41 a seguito dell’ultimo aggiornamento con decreto ministeriale del 12 agosto 2015. In realtà si è trattato solo di un errore e a svelare l’arcano, nel corso del processo, è stata la stessa Agenzia delle Entrate con carte alla mano. Verificando l’itera documentazione ci si è ritrovati di fronte a un caso di omonimia che ha portato la Procura della Repubblica di Sulmona a chiedere l’assoluzione e al giudice Giorgio Di Benedetto a prosciogliere l’imputata dalle accuse con formula piena perché il fatto non sussiste. La donna è stata assistita in giudizio dall’avvocato Mauro Maiorano. Se da un lato verrebbe da dire tutto è bene ciò che finisce bene dal momento che si è trattato di uno sbaglio, dall’altro resta l’incredulità per come anche un processo di possa aprire per un caso di omonimia.

Andrea D’Aurelio

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