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SULMONA – Non bastano sei mesi. Non basta nemmeno un anno per metabolizzare una grande ferita e per attraversare il dolore. Lo sa bene Giovanna, nome di fantasia, che nel mese di luglio dello scorso anno rischiò la vita dopo essere stata pugnalata sotto casa dal suo ex coniuge. Non una storia da cronaca nazionale ma una vittima dietro l’angolo, vicino casa, nei quartieri della quotidianità. Il 25 novembre torna puntuale come un orologio svizzero e con esso l’urgenza di invertire paradigmi e approcci culturali per dare il nome alla violenza, saperla riconoscerla, senza confonderla con amore o comprensione. Lo slogan della campagna contro la violenza di genere è illuminante: l’amore non fa paura. Tutto ciò che fa paura non è amore. Lo sa bene Giovanna che dopo un intervento chirurgico, un ricovero in prognosi riservata e una lunga degenza si sta riappropriando a fatica della sua quotidianità. I figli dormono con la mazza da baseball in camera da letto. Il maggiore, d’altronde, quella notte riuscí a disarmare il padre e ad interrompere l’azione delittuosa. “Ogni volta che entro in casa rivedo la scena. All’inizio non ricordavo molto ma ora tutto alla perfezione”- racconta la donna che nell’ultimo periodo aveva cominciato a “ribellarsi”, ad uscire cioè da quella logica che “quello che dice il tuo compagno è legge”. “Non pensavo arrivasse a tanto. Non aveva mai usato violenza fisica. Offese e umiliazioni si. Ma mai alzato le mani”- prosegue Giovanna confermando che la violenza ha sempre un’escalation, una sorta di rituale che poi esplode. Non arriva mai dalla sera alla mattina ma bisogna saperla captare nella quotidianità anche quando non lascia lividi e cicatrici esterne. La ferita di Giovanna è la ferita di quelle donne che hanno la forza di ricominciare. Nonostante tutto. Vive per miracolo e ad un passo dalla morte. Con lo Stato che “non aiuta abbastanza” come direbbe proprio Giovanna. “Il mio fisico è ormai danneggiato. Un lavoro di cinque o sei mesi non aiuta”- conclude appellandosi a tutte le donne: “nessuno merita di essere offesa, umiliata, trattata come uno straccio. Bisogna ribellarsi e chiedere aiuto ai propri congiunti”. E già. Chiedere aiuto. Ciò che nell’immaginario collettivo viene concepito come un atto di debolezza è in realtà un atto di forza. Non è un caso se nel 2022 sono aumentate le prese in carico del Centro Antiviolenza Horizon. 44 le donne che hanno bussato alle porte della cooperativa. Otto sono state collocate in strutture protette. I numeri si alzano perché la consapevolezza aumenta. Ogni 25 novembre è un punto di partenza. Oggi la battaglia riparte anche e soprattutto per Giovanna che ricomincia a vivere ma anche per Teodora, Ilaria e le tante che purtroppo non c’è l’hanno fatta. L’amore non fa paura.

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