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Era l’Italia del post guerra, quella che faticava a riprendersi dalle ferite e dai 20 anni di dittatura fascista. L’economia italiana era in ripresa sebbene ampie sacche di arretratezza, anche sociale e culturale, si registravano nelle aree agricole del centro Italia e del meridione dove i braccianti, coordinati dai partiti della sinistra, dai sindacati e dalle organizzazioni di categoria, invadevano e occupavano le terre dei latifondisti. Il Governo rispondeva con la repressione talvolta sanguinosa che, comunque, non fermava protesta. Nella Marsica la situazione dei contadini e dei braccianti era disastrosa: il latifondo del Fucino apparve abbandonato dalla famiglia Torlonia nell’arretratezza economica e sociale. I lavoratori scendevano dai centri abitati alla piana iniziando a lavorare alle opere di manutenzione delle strade e dei canali di irrigazione. Alla lotta partecipò tutto il popolo marsicano, compresi i fittavoli e gli artigiani. Anche le donne e i bambini svolsero nella particolare protesta un ruolo logistico fondamentale. La sommossa ebbe successo tanto che l’amministrazione Torlonia fu costretta ad impegnarsi a pagare 350.000 giornate di lavoro per la manutenzione dei canali e delle arterie fucensi. In questo contesto si inseriscono i fatti del 30 aprile quando, alle ore 13.00, si riunì nel palazzo comunale la commissione di collocamento che stabiliva i turni di lavoro per i braccianti che sarebbero stati impiegati il 2 maggio nel Fucino. Alle ore 18:00 la seduta fu tolta, perché non fu raggiunto l’accordo. Alle ore 20.00, poiché molti tra cittadini e braccianti erano rimasti a discutere nella piazza IV Novembre, in attesa che uscissero gli elenchi dei primi chiamati al lavoro nei campi, il vice sindaco Angelo Tropea chiese al maresciallo dei Carabinieri di intervenire e questi sopraggiunse con quattro sottoposti. Senza alcun preavviso i carabinieri improvvisamente aprirono il fuoco sulla folla. I contadini inermi si gettarono a terra, cercando di evitare i colpi. Contemporaneamente, dal lato opposto della piazza, altri colpi d’arma da fuoco venivano esplosi da alcuni esponenti del M.S.I. locale e dalle guardie di Torlonia che sarebbero stati individuati dai contadini. La sparatoria si prolungò per qualche minuto. Piazza IV Novembre fu sconvolta dagli spari e dalle urla. Il bilancio dell’agguato fu di due vittime: Agostino Paris, che si trovava in un gruppo distante non meno di settanta metri dai carabinieri e che cadde in una pozza di sangue ed Antonio Berardicurti. Il 3 maggio 1950 a Celano si celebrarono solennemente i funerali dei due braccianti. La città fu invasa da migliaia di lavoratori provenienti da tutta Italia e furono proclamati scioperi in tutto il Paese. A Roma si bloccarono i trasporti e a Torino gli operai della Fiat si fermarono per quattro ore. Antonio Berardicurti di 35 anni ed Agostino Paris di 45 anni, entrambi lasciarono moglie e figli in tenera età. Oltre ai due morti, nella sparatoria del 30 aprile restarono ferite altre 12 persone che si trovavano in quel momento nella piazza centrale di Celano.

Per questo il 30 aprile è la giornata dedicata al ricordo del drammatico avvenimento meglio conosciuto come “Eccidio di Celano”. Il programma prevede la deposizione di una corona di fiori sulla tomba di Berardicurti e Paris; alle ore 12,00 nella sala consiliare del Municipio di Celano la consegna del premio “Eccidio di Celano e festa del lavoro -premio Berardicurti Paris”;  alle ore 18,00 e alle ore 21,30 musica lungo le antiche mura del castello Piccolomini di Celano.

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