banner
banner

SULMONA – Quarantena. Una parola sulla bocca di tutti ma viverla è tutt’altra cosa. Ne è convinto un agente di polizia penitenziaria, posto in sorveglianza attiva perché entrato in contatto con il collega contagiato, che racconta la sua “reclusione domiciliare”, un destino comune per quanti hanno avuto legami con soggetti affetti da Coronavirus. Il poliziotto, in forza al carcere anche se non in contatto con i detenuti, si trova ora chiuso in una stanza di pochi metri quadrati, come uno dei tanti carcerati che ha comunque ha dovuto tenere sotto controllo. “È un’esperienza nuova e delicata che sto affrontando con grande forza d’animo e con uno spirito e un atteggiamento positivo”, dice il poliziotto penitenziario. “In un attimo ti senti crollare il mondo addosso e tanti sono i pensieri che ti affollano la mente. Per fortuna non mi è stato dato il modo di pensare tanto perché subito arrivato il primo gesto di solidarietà che mi ha toccato nel profondo dandomi grande conforto. È stato quello del comandante Sarah Brunetti che si è messo completamente a nostra disposizione per supportarci e sostenerci in questo momento difficile. Un’iniziativa alla quale hanno aderito tanti altri nostri colleghi”. La comandante ha dato la propria disponibilità per sopperire a qualsiasi necessità, fare la spesa, andare in farmacia e ogni altra incombenza. “Questa è stata la più bella scoperta di questa drammatica esperienza”, prosegue il poliziotto, “conoscevo la comandante per la sua serietà professionale ma che non conoscevo sotto l’aspetto umano. Non ho paura ad affermare che è un comandante da 10 e lode”. “Aldilà del fatto di essere costretto vivere in uno spazio ristretto al quale tra l’altro sono abituato per il lavoro che svolgo”, aggiunge il poliziotto, “non posso non affermare che il mio pensiero va al mio collega ricoverato che sta lottando più di noi, contro un nemico invisibile e strisciante che colpisce senza dare a nessuno la possibilità di potersi difendere. E questa, per un poliziotto come me abituato a guardare il nemico negli occhi, è la cosa più brutta che possa capitare. La cosa bella è che sto scoprendo la vicinanza e l’efficenza degli operatori sanitari che mi tengono sotto controllo costantemente monitorando la mia condizione di salute due volte al giorno. Di certo sapere di poter maturare da un momento all’altro i sintomi del coronavirus, mi tiene in grande ansia. Ma pensando che non sono solo e che vicino a me ci sono i colleghi e le persone che mi vogliono bene mi dà un tanto coraggio. Anche se è pesante l’incognita che abbiamo davanti”. (a.d’.a.)

Lascia un commento