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L’AQUILA – Uccisi due volte. La prima dal terremoto e l’altra dalla sentenza choc. Per questo un pool di professionisti della Valle Peligna sono pronti ad impugnare il provvedimento del Tribunale del capoluogo di regione che ha riconosciuto il concorso di colpa di 24 delle 309 vittime del sisma del 2009, per il 30 per cento. Una decisione che ha rispolverato la rabbia, nascosta finora nelle macerie della memoria collettiva. “Come cittadina abruzzese voglio impugnare questa sentenza. Io non voglio uccidere due volte e insultare il dolore dei sopravvissuti”- ha scritto la collega, Barbara Zarrillo mentre l’ingegnere sulmonese, Giorgio Potassi rincara: “pensate che un domani i giudici ci diranno cari genitori che andate a raccogliere i figli sotto le macerie è colpa vostra perché lo sapevate che le scuole erano insicure ma non avete fatto niente. Tenete conto che i terremoti non sono prevedibili, lo sciame sismico non è precursore di un evento devastante, o meglio solo in poche occasioni ciò avviene, L’Aquila è una di quelle”. E poi ancora decine di post, tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Il gruppo di figure professionali ha dato mandato ad un legale per appellare la sentenza. Secondo i giudici le vittime furono imprudenti a non uscire dopo la seconda scossa in meno di due ore, quella che precedette di qualche ora l’evento sismico disastroso delle 3.32. Fu “una condotta incauta trattenersi a dormire” e, quindi, c’è “un concorso di colpa” per alcune delle vittime del terremoto del 6 aprile 2009, morte nel crollo dell’edificio di via Campo di Fossa all’Aquila. Una sentenza difficile da digerire e commentare poiché soffoca la speranza.

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