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SULMONA – Avrebbe scelto la chat privata di messanger, collegata con la rete sociale di facebook, per minacciare l’ex dipendente dell’attività familiare. Ma i toni e i contenuti utilizzati hanno configurato e provato il reato, almeno secondo il giudice monocratico del Tribunale di Sulmona che ha condannato ieri un 31 enne di Popoli alla pena di venti giorni di reclusione, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in via equitativa di 1500 euro. Il giovane avrebbe infatti utilizzato un account con il solo nome di battesimo e avrebbe scritto alla donna alcune frasi. “Guardati alle spalle. Tu e la tua famiglia. Stai molto attenta”. Dall’analisi del profilo sono emerse alcune foto riferibili all’attività in questione che sarebbe stata oggetto alcuni anni fa di un controllo da parte delle forze dell’ordine. Secondo il padre dell’imputato, le verifiche sarebbero scattate grazie alla segnalazione dell’allora dipendente. Ne è scaturita una diatriba culminata in altro procedimento penale in corso. Per questo la condotta del giovane avrebbe configurato una minaccia poichè collegata con i rapporti tra i suoi familiari e la persona offesa. Per la difesa il quadro delle accuse risulta carente di alcuni elementi fondanti. Nel senso che non sarebbero stati esperiti accertamenti specifici sull’account utilizzato nè risulterebbe che quei messaggi siano partiti dall’utenza telefonica in uso all’imputato, dal momento che chiunque potrebbe creare un profilo con altro nome. Una tesi che non è servita per evitare una condanna con la sospensione della pena. “Sono soddisfatta per aver assistito e difeso una donna oggetto di intimidazioni e minacce”- dichiara l’avvocato di parte civile, Elena Splendore. Una dimostrazione che tutto ciò che si scrive sui social resta tracciabile. Per questo parole e codici vanno misurati per evitare di cadere nella “rete”.

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